L’anno scorso sono andato in India. Non ne ho mai scritto, ma mi sono girato l’India per un mese e mezzo, Perché l'India? Perché no?
perché sono curioso, curioso di posti dove la gente non vuole andare, l’India ha vinto la competizione, ma c'era anche il Congo, Guatemala, o Burkina Faso.
Sono stato in Svezia, non fa per me, gli svedesi non ti guardano nemmeno se ti riempi di benzina e ti dai fuoco in mezzo alla piazza, roba da maleducati guardare qualcuno che si ammazza, pare.
Per arrivare in India intanto serve un biglietto, quello è facile, da Milano arrivi a Nuova Delhi, fai scalo da qualche parte, nel mio caso in Polonia, mangi un hamburger e prendi un volo con un sacco di altra gente. Soprattutto indiani.
Sull'aereo ero l’unico che non si è tolto le scarpe, gli indiani si tolgono le scarpe ovunque, in qualsiasi condizione, non importa se i piedi non sono stati lavati da settimane. Nella cabina si è formata una brina densa,aromatizzata al formaggio, il pranzo, con Indian Airlines, lo respiri.
All’arrivo a Nuova Delhi, ti accoglie un'atmosfera leggermente meno densa di quella trovata sull’aereo, ho trovato un tassista, legittimo quanto una moneta da tre euro, e mi sono fatto trasportare all’”albergo”.
Più ci avvicinavamo, superando branchi di cani, gente che trasportava carretti, macchine, cavalli, scimmie, cani, cani e, ancora, cani, cominciavo a sospettare di aver sbagliato i miei conti. “siamo arrivati” mi ha detto il tassista.
E fuori non c’era niente. Una strada di terra battuta con gente che stava cominciando la propria giornata in una delle città più popolose del mondo. Se andate in India è pensate di dover viaggiare parecchio, non portatevi una valigia, meglio uno zaino, le ruote non vi servono a niente quando la strada è poco più di una mulattiera.
“Siamo arrivati, ecco l’albergo” insiste lo pseudo tassista, indicandomi una palazzina che avevo già visto, a Gaza.
Per un po’ non sono sceso, non vedevo l’albergo, né niente che avrei potuto definire come una strada, una quantità di monnezza che Il Cairo può solo sognarsi, faceva sembrare quel posto una discarica. L’odore in particolare, ricordava quello di una pecora lasciata in putrefazione per settimane.
Per entrare in “albergo” devo saltare una decina di persone che dorme all’entrata, e non sono dei barboni, sono persone che lavorano DENTRO l’albergo. La stanza, se possibile, è peggio. Le lenzuola sono umidicce, spero per l’ambiente circostante e non per altre, più disgustose ragioni. Se volete un consiglio, in India non fidatevi delle foto di Booking. Né delle recensioni, sono finte.
Mi avevano avvertito di non bere acqua, in nessun caso, nemmeno se minacciato di morte, nemmeno sotto la doccia, pena il cagarsi addosso in maniera immediata ed esplosiva. E ovviamente la stessa cosa valeva anche per i denti, non lavarseli mai con l’acqua del rubinetto, che in India, mi era stato detto, equivaleva a bere l’acqua del water.
Le prese elettriche ai lati del letto erano smontate, so che suona un cliché, ma facevano scintille quando infilavi la spina. La cosa positiva era che le prese indiane sono, in qualche modo compatibili con le nostre, quindi non avevo dovuto comprare un adattatore. Questa cosa che puoi risparmiare dieci euro mentre bruci assieme a tutto il palazzo dovrebbe consolarvi.
Valutando la possibilità di morire folgorato all’interno di una catapecchia, ho aperto la finestra, aspettandomi che desse sulla strada, ma, no, dava su un buco mefitico all’interno dell’edificio. Buco in cui si concentravano tutti i vapori dei bagni dell’albergo, con un mix di aromi che,profumi d’oriente, scansatevi. La porta di entrata della stanza non si chiudeva.
L’India mi stava raccontando chi era, ma io non avevo nessuna intenzione di ascoltarla, la stronza, così ho pensato che sarebbe stata una buona idea andare per strada e cercare una sim indiana con traffico dati, perché vi assicuro, a Nuova Delhi perdersi è veramente un attimo. Sarei dovuto uscire e andare, praticamente a caso, ero pronto.
Provate a chiudere gli occhi e immaginate una strada piena di persone, aggiungete tutto quello che vi viene in mente. Sono sicuro che mai, MAI, riuscireste ad immaginare il caos assoluto che mi si parava davanti.
Risciò, Macchine, motorini, uomini a piedi, uomini in bici, asini che trascinavano un carretto, uomini che trascinavano un carretto, cani, cani,buchi per terra con gente che spuntava fuori strillando, buchi nei muri con gente che saltava fuori, gente che ti parla, gente sui pali, in cima agli autobus, arrampicata sui ponti. Gente alle finestre.
Gente.
Persone buttate per terra ai lati della strada, spazzatura di ogni tipo, rigagnoli di liquido che a giudicare dall’odore erano composti da acqua e escherichia Coli in egual misura.
Bambini in mutande che vengono cambiati da madri amorevoli, tizi che cagano dove capita, altri cani.
Una ragazzina, con delle penne in mano, che dormiva per terra, circondata da cani che dormivano lì attorno, aveva l'età che poteva avere uno dei miei alunni, dormiva anche lei. Ma non andava a scuola come i miei alunni, lei.
E lì, di fronte a quella visione, la mia fantasia dell’India veniva spazzata via in un colpo solo dal rumore assordante dei Clacson suonati in contemporanea da tutti, compreso l’asino, che ragliava con tutta la forza possibile. In india la gente suona il clacson per far capire dove si trova, come se fosse un sonar per avvisare gli altri di non spostarsi in una o nell’altra direzione. O magari sono solo stronzi e vogliono assordarti.
Forse è per questo che l'India è il più grande produttore di santoni da Buddha in avanti, per resistere a certi posti mantenendo una parvenza di sanità mentale, ti serve una filosofia. Altrimenti li ammazzi tutti.
E se siete arrivati fino a qui, bene, queste sono le cose brutte, dell’India. Quelle che vi dicono tutti quando tornano da quel paese, nessuno vi dice che mentre cammini per le strade, ogni tanto ti arrivano zaffate di gelsomino che coprono qualsiasi altro odore, gelsomino e limone che sembrano arrivare direttamente dal paradiso. Credo sia stato quel profumo a farmi decidere per continuare a camminare fino alla stazione, perché avevo visto posti peggiori, ero stato in zone di guerra, figuriamoci se non avrei potuto sopportare Nuova Delhi.
E così ho fatto, ho nuotato tra la gente, come un salmone controcorrente, arrivando fino alla stazione centrale, parlando con chi voleva parlare e salutando chi mi salutava.
Mentre cercavo un pranzo ho visto una gang di scimmie derubare della frutta una signora che, incazzata nera, gli ha lanciato dietro un masso. Le scimmie sono da tutte le parti in India, ti guardano attentamente, pronte a fregarti qualsiasi cosa di commestibile tu abbia in mano, le persone normali sono abituate a questa continua lotta per lo spazio vitale e non ci fanno più tanto caso, ma per le scimmie, quelle sono incazzate, pronte a piantarti i canini nel collo, se pensano abbiate un buon sapore. Scherzo, alle scimmie non avvicinatevi troppo però, se non volete diventare uno snack occidentale.
La sera sono andato a prendere la ragazza che aveva deciso di accompagnarmi per un pezzo del viaggio, ragazza di cui, malgrado io avessi promesso e fossi assolutamente certo che niente di romantico sarebbe sorto da quel viaggio, mi sarei innamorato.
Perché non puoi fare un viaggio in India con qualcuno così, come andresti a Verona. Andare in India con qualcuno significa fidarti ciecamente di quella persona, perché può, e lo farà, succedere di tutto.
E quella persona diventa l’unica cosa stabile.
Con questa ragazza, che si chiama Maria,nome assolutamente vero e non di fantasia, qualche giorno dopo abbiamo preso un treno, seconda classe, diretto ad Agra, la Capitale dello stato, perché volevamo vedere sto Tajii Mahal.
La cosa più interessante di Agra non è stato il Tajii mahal, che per chi non lo sapesse è una gigantesca tomba dedicata ad una delle mogli del Rajah, quella preferita, o quella che gli rompeva meno le palle.
La cosa più interessante di Agra è stata Nassim, un autista di TukTuk che abbiamo conosciuto lì, aveva la mia età ma non mi sarei stupito ne avesse avuto venti in più, campava tutta la sua famiglia con il suo lavoro e teneva un piccolo diario dove le persone che portava in giro sulla suo ape piaggio modificata scrivevano di lui. E scrivevano cose gentilissime, perché Nassim era (e spero sia ancora) una persona gentilissima.
E rimanere gentile vivendo in una situazione simile non è facile, me lo ripeto quando mi viene voglia di incazzarmi perché qualcosa non è andata come preferivo.
Ad Agra ci siamo anche resi conto che Maria si era portata dall’Italia una confezione di carne di mucca secca, un’ idea eccezionale farlo in un paese dove la mucca è considerata sacra e non puoi manco darle un calcio, figurati mangiartela.
Comunque, abbiamo fatto sparire le prove in un sabbath alimentare contro le cornutissime divinità indiane e abbiamo buttato la confezione fuori dall’albergo, per nascondere le prove.
Per trovare un cestino ad Agra ci vogliono dai 60 minuti alle dieci ore, difatti la popolazione considera “cestino” tutto lo spazio fuori da casa propria.
Parlando di gente che dovrebbe diventare presidente della Repubblica, ho incontrato un ragazzo che trasportava in giro il suo chiosco di banane, e con trasportava in giro intendo che letteralmente svolgeva il ruolo che altrove avrebbe fatto un asino, e mi sono fermato a comprargliene un paio.
“10 rupie(15centesimi)”
Gliene allungo cinquanta e gli dico di tenere pure il resto. Lui mi fa di no con la testa, e me li rende.
Glieli riallungo, non mi servono.
Quello mi dice che le banane costano così, non gli serve di più, non è così povero, dopotutto.
E ok, lezione di vita da bananaro di Agra, Kurdt prendi e porta a casa.
Non fatevi illusioni, la maggior parte degli indiani non è così, come per tutti i posti, la maggior parte della popolazione fa schifo al cazzo.
Se in India vi chiedono soldi e non glieli date, ricordatevi di non ascoltarli quando vi diranno che il posto che state cercando è esattamente dall’altra parte della città. Gli indiani, quando non fai quello che vogliono e sei uno straniero, mentono.
Ho dato da bere il caffellatte agli elefanti a Jaipur, hanno una lingua gigantesca, e degli occhi colossali e tristissimi. Forse erano solo quelli che ho trovato io, perché li costringevano a fare i cretini per i turisti, scarrozzarli in quella mezza riserva che gli avevano creato, e poi tornare al loro posto, dove gli aspetta una catena alla zampa come premio.
Catena che, posso scommetterci, avrebbero potuto rompere a piacimento, ma per andare dove? Lo sapevano pure loro che dall’India è difficile andare via.
Sempre a Jaipur durante una passata di monsono sono entrato in un tempio Giainista, dove, senza dire una parola hanno fatto vedere a due tizi completamente zuppi e scalzi, tutta la storia della creazione.
Ho incontrato Soni, un gioielliere a cui ho comprato un sacco di pietre che mi sono portato dietro in un contenitore con su scritto “Mandorle affumicate”.
Abbiamo preso un altro treno, stavolta in prima classe, per andare a vedere il deserto dei Tartari, al confine con il Pakistan, c’é una cittadina che si chiama Jaisalmer. Abbiamo perso il treno perché mi sono dimenticato di che giorno fosse. Abbiamo fatto un nuovo biglietto. Se credete che le file da noi siano caotiche, poveri voi, In India la persona che sta dietro di voi in fila non ha nessun problema a superarvi e guardarvi male. Oppure a starvi così attaccata da poter sentire l’aroma del loro profumo scrauso.
Ad un certo punto ho sentito qualcuno, in un accesso di rabbia elitista,gridare “mi avete rotto i coglioni, adesso vendo le birkenstock e vi compro tutti”.
Il biglietto siamo comunque riusciti a farlo.
Mentre aspettavamo sulla banchina una scimmia ha rubato il pane ad un bambino che è scoppiato a piangere, così sono passato a comprargli un pezzo di cioccolato e gliel’ho portato, cosa che lo ha fatto immediatamente smettere, okay, missione riuscita, ti meriti proprio la medaglia di brava persona e bravo insegnante.
Il fratellino del derubato però comincia a piangere, perché, a lui, nessuno dà del cioccolato.
Il padre dei pargoli, messo all’angolo si dirige verso il chiosco dei dolciumi, fissandomi come a dire:
“Guarda cosa hai fatto, cretino”
Nel frattempo la scimmia sta lottando per la vita e per il pane, circondata dalle sue amiche che vogliono un pezzo del bottino. Nessuno è mai contento.
I treni indiani sono lenti, ma sono comodi. Tutti hanno a disposizione un letto ribaltabile che diventa panchina, così se uno è stanco può decidere di sdraiarsi, cosa che quando il tuo viaggio può facilmente durare dieci ore, ha senso.
E nel viaggio verso il Deserto dei Tartari, guardavo fuori e vedevo passare l’India più povera, ancora più povera di come la immaginate, con fiumi di plastica che terminano in isolotti, roba che microplastiche levatevi, qui facciamo le cose in grande. Solo macro.
E lentamente quei paesaggi desolanti si sono trasformati in sabbia, attorno a noi solo la notte, la luna, l’odore della mia compagna di viaggio.
La stazione di Jaisalmer ha solo due binari, uno che va ancora più lontano, verso zone ancora più dimenticate da Dio, e una che torna verso Jaipur, e finalmente c’è meno gente attorno.
C’è un ostello a Jaisalmer, si chiama Crazy Camel, organizzano pure i giri nel deserto, un ora di macchina, dieci ore di cammello per vedere alla fine il deserto al confine con il Pakistan mentre delle pulci ti mordono il culo con tutta la loro forza.
Per puro caso a Jaisalmer ho anche incontrato Luca che di mestiere fa l’influencer, malgrado questo è una brava persona. Viaggia e fa video, è interessante, non un povero stronzo come me.
E ve lo devo dire, io in quel posto mi sono innamorato, che innamorarsi in India sembra difficile, ma solo perché siete prevenuti, gli esseri umani si sono innamorati per millenni in posti molto peggiori dell’India attuale. L’antica Babilonia, per dire, noi la conosciamo per i giardini pensili, ma non credo che avessero i bagni, la puzza in città doveva essere peggio di quella di Calcutta.
Che poi io non mi sono manco innamorato a Calcutta, io mi sono innamorato nel deserto, mentre non c’era niente di terribile attorno a me, la luna splendeva sulla sabbia e non c’era bisogno di nient’altro.
Anche le pulci nel sacco a pelo sembravano fatte apposta per innamorarsi.
E comunque, dicevo, gli esseri umani nel passato si sono innamorati dopo che una pandemia ha sterminato entrambe le famiglie di Urg e Burg, nomi onomatopeici di due scimmie antropomorfe. Portate rispetto, sono i vostri antenati, se non avessero trovato sexy il puzzo di decomposizione, voi non sareste qui.
E forse il mondo, a pensarci bene, sarebbe migliore.
Comunque, sto girando un sacco attorno a questa cosa che mi sono innamorato in India, perché non mi piace parlare di queste cose, motivo per cui ne scrivo solo adesso, più di un anno dopo, quando oramai la ragazza è sparita completamente dalla mia vita, dopo avermi conosciuto meglio. Io comunque dopo non mi sono innamorato più, non credo di essere fatto per questa cosa di innamorarmi, quando una ragazza mi chiede se la amo, di solito rispondo “no, ma ti stimo moltissimo”.
E quelle se la prendono sempre a morte, come se questa cosa che io rispondo dicendo che le amo potesse eliminare il dramma della morte, l’assoluta assurdità del vivere, o il fatto che il loro parrucchiere è chiuso il lunedì pomeriggio.
No, seriamente, il fatto che qualcuno vi dica “ti amo” non cambierà il fatto che quella persona non la riconoscereste camminando per strada, tra qualche anno. Pensate alle vostre ex fidanzate, quante sareste capaci di riconscerle per strada, adesso?
Eppure, anche se amare non ci salverà dalla morte fredda dell’universo, beh, aiuta.
Sicuramente più che accumulare soldi, bombardare villaggi di poveri cristi in medio oriente, leggere saggi deprimenti su Celiné, o abusare di benzodiazepine.
Quindi se non avete niente da fare, innamoratevi, fatelo anche per me, che non sono tanto bravo a farlo.
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