Il convitto Inpdap di
Spoleto sta in cima ad una collinetta, accanto alla rocca Paolina,
che poi è anche l'edificio più vecchio della città.
In pratica, arrivando
dalla stazione, bisogna farsi tutto il borgo, superare le vecchie
magistrali e continuare a salire, farsi metà del corso, svoltare a
sinistra salendo fino alla piazza del mercato, con le sue grandi
fontane a forma di leone, infine superare anche il comune e s'era
arrivati.
Il convitto era il minimo comune denominatore per 150 ragazzi e ragazze, che per la città di Spoleto erano (e sono ancora) definiti, con una punta di disprezzo, “I convittori”.
Il convitto era il minimo comune denominatore per 150 ragazzi e ragazze, che per la città di Spoleto erano (e sono ancora) definiti, con una punta di disprezzo, “I convittori”.
In convitto potevi entrare
che avevi 14 anni, e iniziavi la via crucis delle superiori, ma
dentro ci trovavi anche bambini, che avevano fatto le elementari
tutte in quel posto, Simone Daga ad esempio, era entrato che aveva
sette anni, così suo fratello Giuseppe, e tutta la famiglia dei
Moro, e quella dei Lamberti.
Arrivavamo da tutte le
parti d'italia, Francesco belvisi per esempio, non parlava quasi mai
e camminava saltellando e suonava la chitarra elettrica, era di
Pantelleria, Giorgio D'orlando, compagno di classe di Belvisi invece
era biondo, stava con la più troia del convitto, Alterio Emanuela,
Napoletana, e lui era di Gorizia.
I convittori, ci
chiamavano. C'era di tutto, la in mezzo, ognuno di noi arrivava con
una storia diversa, A Riccardo erano morti entrambi I genitori,
Manuel Caddeo c'era finito perchè I genitori erano dei pezzi di
merda, e un po' perchè lui era completamente matto, visto che
tentava di scappare un giorno si e l'altro pure, con risultati
alterni. Una volta lo riacchiapparono a Ostia, che cercava di tornare
a casa, ma aveva sbagliato treno, e non aveva più I soldi del
biglietto.
C'era un sacco di gente,
la in mezzo, e c'ero anch'io, un ragazzino piccolo, sardo, con I
capelli ricci e nero come il carbone, tanto da guadagnarmi
l'appellativo di “negro”, che spesso veniva strillato da una
stanza all'altra, per chiamarmi.
In quinto superiore
eravamo in stanza in quattro, io, Alessio Cillara, Davide antona e
Simone daga.
Davide Antona era bello grasso, che pareva un buddha da quanto era rotondo e paffutto, e m'aveva fregato la ragazza in terza superiore, ma avevamo fatto pace, perchè tanto la ragazza l'avevo lasciata, se se l'era fatta con il mio migliore amico, era evidentemente un troia. Con lui ho litigato di nuovo, qualche anno dopo, per altre ragioni, e non lo sento più da una vita.
Davide Antona era bello grasso, che pareva un buddha da quanto era rotondo e paffutto, e m'aveva fregato la ragazza in terza superiore, ma avevamo fatto pace, perchè tanto la ragazza l'avevo lasciata, se se l'era fatta con il mio migliore amico, era evidentemente un troia. Con lui ho litigato di nuovo, qualche anno dopo, per altre ragioni, e non lo sento più da una vita.
In fondo non gli ho mai
perdonato quella storia della tipa, ad essere sinceri sinceri. Era
pure Siciliano, la tal cosa non aiutava.
Simone Daga è il mio
migliore amico, ci sentiamo ancora, gli voglio ancora bene, e beh, ci
assomigliamo, tutt'e due leggiamo fumetti e ridiamo di cazzate che
fanno ridere solo noi, e prendiamo in giro I vivi e I morti. E poi è
Sardo, e detto come va detto, solo un sardo può capire un altro
sardo.
Anche Alessio era sardo,
di Gavoi. Lo chiamavamo il Rabbino, perchè aveva la spiccata
tendenza ad accumulare tutte le cose che poteva. Una persona più
sensibile di me direbbe che era “parco” o che era “ Oculato”.
Invece io no, e vi dico che era proprio tirchio come un Tirannosauro
figlio di un rigattiere ebreo.
Tutte le mattine faceva il
giro dei tavoli raccattando le Nutelline che non erano state
consumate, proponendo spericolati scambi tra nutelline e cornetti,
offrendo baratti e favori, tutto per riempire il suo armadietto di
prelibatezze e leccornie che svariati convittori avevano già provato
a scassinare senza successo.
Ma con noi era diverso,
non ci negava mai nulla quando, travolti dalla fame chimica, ci
avvicinavamo a mendicare nutelline e cornetti, fumavamo assieme
nascosti nel bagno della camera, infilandoci a turno quando la ronda
degli istitutori era passata, ed uscivamo con bulbi oculari
inniettati di sangue e con sorrisi chimicamente motivati.
Ricordo ancora quando, un
giorno, stavamo buttati su un prato, l'estate del nostro diploma,
Davide disse :
“Ehi, vi propongo un
patto, a tutti”
“Eh, sentiamo un po'
questo patto” disse Alessio.
“Patteggiamo questo”
Disse Simone, esplodendo un portentoso peto,
“Facciamo che il primo
di noi che muore, gli altri gli devono andare a pisciare sulla tomba,
eh?”
“Esagerato!” Disse
Alessio.
“Okay, ma tanto sei tu
quello che schioppa per primo, sicuro come il fatto che quest'anno ti
bocciano all'esame” Dissi io
“E ma come funziona,
schioppa per esempio kurdt, e Io e Alessio ci andiamo a pisciare
sulla tomba”
“Ehi ehi ehi, vengo
anch'io, gli piscio nel vaso di fiori” Aggiunse Davide,
“E okay, fino a qua ci
siamo, poi però metti che muore Davide, cosa succede, Io e Alessio
andiamo a pisciargli sulla tomba?”
“Certo” Dissi io “O
volete pisciare solo sulle mie povere ossa?”
“Guarda che ti
piscieremmo a bara ancora calda, e urleremmo tutti asssieme :
coglione! Così, per farti
sentire meno solo, e ricordarti chi sei”
“ Okay” e poi diciamo
che schioppa pure Alessio, che facciamo, gli piscio sulla tomba da
solo, come a dire, “ne resterà soltan to uno?”
“Mettiamola ai voti”
Disse Davide.
E venne fuori che eravamo
tutti d'accordo, perchè a diciotto anni mica si pensa a morire, e
pisciare su una tomba suonava come un' idea fenomenale, sopratutto se
prima di formularla avevi fumato una decina di cannoni.
E alla fine all'esame
passammo tutti quanti, io con grande disonore, dopo che la mia prova
venne praticamente annullata per aver scritto sul retro del foglio
una versione completa della “locomotiva” di Francesco guccini,
gli altri con risultati un po' migliori, ma non tantissimo, perchè
nessuno di noi aveva studiato un cazzo di niente, e avevamo
frequentato più il bar della piazza del mercato che la sala studi
del Convitto.
Alla fine Io finii a Pisa,
Davide simone e Alessio a Perugia.
Fu un giorno che tornai a
Perugia che scoprìì che Alessio s'era beccato un bellissimo,
simpaticissimo tumore. Non me lo disse lui, e non ricordo bene come
lo venni a sapere, forse me lo disse Ilia, che gliel'aveva detto
Alessio, ma a me, Alessio non disse mai niente, non era uno che
voleva compiangersi.
Comunque m'informai, e lo incontrai, e non mi sembrava mica stare male, aveva la stessa faccia di sempre; I capelli radi li aveva sempre avuti, e la faccia sempre stata bianchiccia, nessun segno di mutamento visibile appariva, li imparai che non esiste qualcosa come Il “marchio del tumore” che ti segna e ti permette di essere riconosciuto in mezzo alla folla.
Comunque m'informai, e lo incontrai, e non mi sembrava mica stare male, aveva la stessa faccia di sempre; I capelli radi li aveva sempre avuti, e la faccia sempre stata bianchiccia, nessun segno di mutamento visibile appariva, li imparai che non esiste qualcosa come Il “marchio del tumore” che ti segna e ti permette di essere riconosciuto in mezzo alla folla.
Parlai anche con lui, ma
di altre cazzate, come al solito, ci salutammo, dicendoci che ci
saremmo rivisti a breve, perchè sarebbe passato lui a trovarmi.
L'anno dopo mi trasferìì a Perugia anche io, perchè avevo iniziato
una storia con una tizia, ma lui era già tornato in Sardegna, e
riuscivamo a vederci solo quando passava a salutare tutti quelle due
tre volte all'anno.
Poi io mollai l'università
e fini a lavorare in un villaggio turistico in egitto, e poi in
Spagna, l'anno successivo.
A Lanzarote, una sera
tornavo a casa mezzo ubriaco, mi misi al computer, apri facebook e
lessi un messaggio di mia sorella Anna che diceva : “ Manu, Alessio
è morto”. Anche Chiara, la mia fidanzata delle superiori mi aveva
scritto, che “doveva parlarmi”.
Fai due più due, capisci
cosa vuole dirti, decidi di chiamarla. Poi magari non la chiami e
rimani chiuso in camera tua a piangere.
Piansi tutta la notte,
quel giorno, chiamai tutt'e due le mie sorelle, ancora piangendo, e
riascoltai un centinaio di volte Please ,please please” degli
Smiths, che è una cosa che faccio solo nei momenti peggiori della
mia vita, di solito quando vengo piantato in tronco, o tradito
spudoratamente.
Qualche mese prima ci avevo anche parlato con Lui, e mi aveva detto di cambiare il layout del mio sito, perchè faceva cagare, e che se volevo me l'avrebbe fatto lui.
Qualche mese prima ci avevo anche parlato con Lui, e mi aveva detto di cambiare il layout del mio sito, perchè faceva cagare, e che se volevo me l'avrebbe fatto lui.
“Quanto vuoi” gli
avevo chiesto, conoscendo il mio pollo.
“Non voglio niente, te
lo faccio gratis” E questa cosa già avrebbe dovuto insospettirmi
abbastanza.
“No dai, mi piace così
com'è”
“E dai cazzo, fammelo
fare, fidati che te lo faccio più bello di così”
“No Alè, dai, smettila”
E insomma, forse voleva
lasciarmi qualcosa di suo, e io sono un vero pezzo di merda. Oppure
il mio sito faceva davvero schifo al cazzo, e provava pena per me.
Comunque non sono potuto andare nemmeno al funerale, perchè stavo a 3000 chilometri di distanza, ed ero troppo povero per prendere un aereo con così poco anticipo. Il giorno dopo il mio capo continuava ad urlarmi addosso che
Comunque non sono potuto andare nemmeno al funerale, perchè stavo a 3000 chilometri di distanza, ed ero troppo povero per prendere un aereo con così poco anticipo. Il giorno dopo il mio capo continuava ad urlarmi addosso che
“Cosa cazzo hai? Sei
distratto! Diocane, ripigliati”
Io glielo volevo anche
dire che uno dei miei migliori amici aveva tirato le cuoia, ma poi mi
sembrava di tradire Alessio, e allora stetti zitto e aspettai di
tornare a casa per scrivere qualcosa.
Ancora non ho mantenuto la promessa che ci eravamo fatti.
Kurdt.
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