Nota: Questo post parla profusamente di calcio, magari da un angolazione particolare, ma sempre di calcio, quindi, se la mente di qualcuno di voi verrà attraversata dal pensiero che "ma come, uno come lui, il calcio! Oddio che orrore! Passami la critica della ragion dialettica, presto!" è pregato di non leggere. (NdKurdt)
Quando si parla di calcio,
ci sono varie reazioni, c’è quello che è fanatico di una squadra e saprà
dirti formazione e giocatori dal 1900 ad oggi in ordine cronologico e
alfabetico, quello che solleva il mignolo altezzoso e dice che “no no,
io calcio, mai, una roba così da popolani!” e te lo dice mentre si gratta
furiosamente il culo, ma soprattutto ci sono quelli che tifano le squadrone e
quelli che tifano le “provinciali”.
I miei ricordi d’infanzia mi riportano sempre a due eventi
clou, che mi hanno fatto innamorare del mondo del pallone, uno, la finale persa
ai rigori contro il brasile nel 94, quando avevo undici anni, ma soprattutto la
fantastica cavalcata che il la mia provinciale d’elezione aveva fatto l’anno
prima, nel 1993, in coppa Uefa.
Seguivo già il Cagliari dalla serie C, dove mi ero
appassionato grazie ai commenti della pagina sportiva de “l’unione sarda” e
potevo già considerarmi un tifoso cagliaritano in erba, ma quando, dopo aver
inanellato una doppia promozione, dalla C1 (ora sarebbe lega pro) alla serie A, raggiungemmo il sesto posto in classifica, che significava EUROPA,
ero in visibilio, e con me tutta la Sardegna.
Il Cagliari in coppa Uefa. Non ci si poteva credere, era dai tempi di Giggirriva che non succedeva una roba simile.
So bene che per molti di voi, tifosi di squadre come Milan,
Inter e compagnia danzante, risponderanno con un “mbè? Cosa c'è di eccezionale?”, perché sono abituati da sempre a coppe e coppette, ma quello che dovete capire è che per noi, la coppa Uefa,
era una gran cosa, e già esserci arrivati rappresentava il coronamento di un
sogno, e quella squadra, signori, non si sarebbe certo fermata li.
Vincemmo i trentaduesimi di finale, contro la Dinamo Bucarest, ed esultavamo, perchè era già un risultato, poi i sedicesimi contro il Trabzonspor e spaccammo il culo ai turchi, con cui ce l'avevamo da secoli, per altre ragioni.
Vincemmo i trentaduesimi di finale, contro la Dinamo Bucarest, ed esultavamo, perchè era già un risultato, poi i sedicesimi contro il Trabzonspor e spaccammo il culo ai turchi, con cui ce l'avevamo da secoli, per altre ragioni.
Quindi agli ottavi battemmo di slancio anche il Malines, una squadretta
belga, e arrivammo, increduli, ai quarti di finale. Ai quarti avremmo dovuto
affrontare nientepocodimeno che la Juventus.
Ora, la Juve in attacco aveva Vialli, Ravanelli, Del Piero e Roberto Baggio,
noi avevamo Dely Valdes Oliveira e Matteoli. Non c’era speranza, almeno sulla
carta. Roberto Baggio contro Gianfranco Matteoli.
La sera di Juventus-Cagliari, avreste potuto
girare per il centro e non avreste incontrato nessuno, le solite
vecchiette avevano smesso di rompere i coglioni sedute di fronte alla porta di
casa e s’erano imparate due o tre nomi di calciatori, che ogni tanto tiravano
fuori dicendo robe tipo:
“E quando è che entra Francescoli!? Là che se non perdiamo
oh! Questo allenatore non capisce proprio niente”
E quella sera io ero a casa mia, con mio padre, ad aspettare
che iniziasse. Mio padre, proverbialmente di poche parole, non apriva bocca,
mia madre non rompeva le scatole anche se a lei del calcio era sempre importato
meno di zero.
Tutta un isola zitta zitta, tifava per i propri beniamini,
che stavano, in quel momento, portando una parte di noi in giro per l’Europa. Avevamo paura, perché perdere era non solo possibile, ma probabile, eppure si accettava il rischio, e si sperava. Non accendemmo ceri come avrebbero fatto i Napoletani con San Gennaro, ma quella sera molte persone pronunciarono la famosa frase "ah! Se vinciamo con la Juventus, prometto che..".
Vincemmo, la città impazzì completamente, quella stessa Juve che arrivò seconda in
campionato, e due anni dopo vinse
la Champions League contro l’Aiax, era caduta di fronte a una squadretta come la nostra.
In semifinale, perdemmo contro l’Inter più brutta della sua
storia, ma questo non tolse nulla ad un risultato storico, e fù così che, accanto al santino di gigiriva appare nelle case dei sardi, anche quello, stavolta collettivo, di una squadra che ci aveva fatto sognare la gloria.
Nella mia classe la maggior parte tifava (e tifa) , da sempre le squadrone, e chi tifava Inter, e chi Milan, e chi ancora Juve, io e un altro tifavamo Cagliari, e ci prendevano per il culo, perché non si vinceva mai un cazzo e anzi, erano sempre parecchie scoppole sia all'andata che al ritorno, e già un pareggio contro le "grandi" era considerato un risultato da incorniciare.
Quello che non avevano capito i miei compagni di classe, era che una squadra deve anche rappresentarti, non si tratta solo, come diceva un tizio, di un innamoramento, dal quale vieni colpito, ma di un elezione, tu scegli una squadra che possieda qualcosa di te.
Nella mia classe la maggior parte tifava (e tifa) , da sempre le squadrone, e chi tifava Inter, e chi Milan, e chi ancora Juve, io e un altro tifavamo Cagliari, e ci prendevano per il culo, perché non si vinceva mai un cazzo e anzi, erano sempre parecchie scoppole sia all'andata che al ritorno, e già un pareggio contro le "grandi" era considerato un risultato da incorniciare.
Quello che non avevano capito i miei compagni di classe, era che una squadra deve anche rappresentarti, non si tratta solo, come diceva un tizio, di un innamoramento, dal quale vieni colpito, ma di un elezione, tu scegli una squadra che possieda qualcosa di te.
E come poteva mai rappresentarmi la (pur bellissima) Juventus di Del Piero, Vialli e Baggio? Erano talmente tanto lontani da me che se fossero stati alieni scesi da Marte, sarebbe cambiato ben poco, mentre l'attaccante e capitano del Cagliari si chiamava Gianfranco Matteoli, era nato ad Ovodda, parlava poco ma diceva cose sensate, ma sopratutto la squadra sapeva soffrire, e poteva anche perdere, ma non si arrendeva.
Tutte cose che sentivo di avere anche io.Perché la vita di una provinciale è molto più vicina a quello che incontrerete nella vostra vita di ogni giorno, si prendono calci in culo, tanti, ogni tanto si vince, ogni tanto si pareggia, ma si lotta, quello sempre, e non ci si arrende, perché arrendersi significa morire.
Tutte cose che sentivo di avere anche io.Perché la vita di una provinciale è molto più vicina a quello che incontrerete nella vostra vita di ogni giorno, si prendono calci in culo, tanti, ogni tanto si vince, ogni tanto si pareggia, ma si lotta, quello sempre, e non ci si arrende, perché arrendersi significa morire.
E a fine anno, bisogna vendere qualcuno dei tuoi pezzi migliori per far quadrare il bilancio, come in ogni famiglia. Ecco perché tifo una squadretta come la chiamate voi. La tifo perché il Cagliari mi somiglia molto più di qualsiasi altra squadra, perché quando vedo giocare Murru e Sau, penso che quella gente ha il mio stesso sangue, ma sopratutto, deve affrontare le stesse difficolta che affronto io, non trova mai niente di pronto e non riceve favori, deve sudarsi qualsiasi cosa. Ecco perché la tifo.
E tu, tizio che tifi Juventus ma sei nato, per dire, a Valledoria, in provincia di Sassari, e a Torino non ci sei manco mai andato, lasciatelo dire, il tuo accento ti tradisce, puoi dipingere un asino, ma non diventerà mai una zebra.
E gli asini sono animali splendidi.
Kurdt-
E guardate che facce! Sembra la nazionale delinquenti. |
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